Nel dicembre 2021, la Corte suprema russa si è pronunciata sul ricorso nel caso Uraltransmash vs PESA. La questione riguarda l’ambito di applicazione delle modifiche introdotte nel giugno 2020 dalla Legge federale n. 171-FZ1 al codice di procedura arbitrale della Federazione Russa (APC) al fine di proteggere i diritti di persone fisiche e giuridiche soggette a misure sanzionatorie estere.
In particolare, il nuovo testo dell’articolo 248.1 paragrafo 4 dispone che il foro (ordinario o arbitrale) straniero scelto dalle parti per la risoluzione dell controversie non possa essere invocato laddove a causa di misure restrittive adottate nei confronti di una delle parti venga ostacolato il corretto accesso alla giustizia per la parte sanzionata.
In tal caso, quest’ultima ai sensi dell’articolo 248.2 dell’APC può richiedere al tribunale commerciale arbitrale territorialmente competente un’ingiunzione per impedire l’instaurazione o la prosecuzione di procedimenti da parte del tribunale (ordinario o arbitrale) sito nel Paese che ha irrogato la sanzione.
Venendo al caso in questione, nel 2018, la società polacca Pojazdy Szynowe PESA Bydgoszcz SA (‘PESA’) aveva promosso un giudizio arbitrale avanti all’Arbitration Institute of the SCC (Camera di Commercio di Stoccolma) nei confronti della società russa JSC Uraltransmash (‘UTM’) al fine di ottenere il risarcimento a seguito dell’asserito inadempimento di quest’ultima ad un contratto di fornitura contenente per l’appunto una clausola arbitrale.
A seguito della modifica all’APC di cui si è detto, UTM ha chiesto al Tribunale Arbitrazh della regione di Sverdlovsk l’emissione di un’ingiunzione a proseguire l’arbitrato, sostenendo che l’avvenuta applicazione ad essa (nonché alla casa madre JSC Uralvagonzavod – ‘UVZ’) di sanzioni UE e USA ha causato “ostacoli all’accesso alla giustizia” e, di conseguenza, ad un equo processo.
Sia il tribunale di primo grado sia il Tribunale Arbitrazh del Distretto di Urals (in sede di impugnazione) avevano rigettato la domanda di UTM sul presupposto che l’introduzione delle sanzioni UE o USA non fosse di per sé sufficiente ad ostacolare l’accesso alla giustizia, anche in considerazione della partecipazione attiva della società russa alla procedura arbitrale.
Tuttavia, il 9 dicembre 2021 il Collegio Giudiziario della Corte suprema della Federazione Russa ha riesaminato la controversia, osservando che le sanzioni introdotte nei confronti di un soggetto russo possono ostacolare l’instaurarsi di un equo processo che si svolge nella giurisdizione in cui tali sanzioni sono state introdotte: ciò in quanto, a detta dei giudici russi, le sanzioni ledono necessariamente i diritti, o almeno la reputazione, dei soggetti cui sono applicate. La Corte, applicando le norme in esame, ha quindi affermato che il ricorrente non ha l’onere di dimostrare di aver subito alcun pregiudizio concreto, derivante dalle misure sanzionatorie, ritenendo che le stesse, in quanto tali, si pongano comunque in contrasto con il diritto all’equo processo del soggetto sanzionato.
Va, in ogni caso, segnalato che nelle more del giudizio avanti alla Corte Suprema l’arbitrato svedese si era concluso, ciò che ha comportato il rigetto della misura.
Rimane, ovviamente, il principio affermato, suscettibile di creare criticità in tutti i casi in cui un operatore commerciale abbia come controparte contrattuale un soggetto russo che, nel momento in cui viene designato, potrebbe rivolgersi al giudice russo per ottenere l’ingiunzione di cui è detto (l’APC, infatti, esclude che la giurisdizione esclusiva dei tribunali ordinari o arbitrali russi possa essere rilevata d’ufficio).
Naturalmente legittime preoccupazioni possono sorgere anche in relazione al riconoscimento del lodo arbitrale o della sentenza straniera nei confronti del soggetto sanzionato, in quanto la violazione della normativa APC potrebbe essere vista come contraria all’ordine pubblico russo.