Punizioni più dure (per chi vuol vendere fuori legge) e autorizzazioni più snelle (per chi opera in regola). Dal 1° febbraio è cambiata la normativa italiana sull’export di beni “dual use”. In pratica, valvole, guarnizioni, turbine, ma anche software e composti chimici, in sè del tutto innocenti, ma potenzialmente utilizzabili anche per impianti e scopi militari o nucleari. E che in Paesi colpiti da embargo e sanzioni – tra i tanti, Iran, Russia, Corea del Nord – possono essere esportati solo seguendo regole rigide.
Ma per la principale novità della nuova normativa serve un decreto attuativo. Che, in assenza di un governo, rischia di restare “congelato” per mesi.
Dal 1° febbraio, infatti, la principale novità – introdotta con il decreto legislativo 221/2017 – che riduce lo spazio delle sanzioni amministrative ma inasprisce le pene per i trasgressori – è il debutto della cosiddetta “Licenza zero”, una sorta di nulla-osta preventivo che le aziende – in caso abbiano il dubbio che il proprio prodotto possa essere bloccato perchè considerato “dual use”– possono richiedere al ministero dello Sviluppo economico.
Lo stesso dicastero, al termine di un’istruttoria basata sulle informazioni fornite dal richiedente, potrà dichiarare formalmente che l’esportazione di una determinata merce non è soggetta ad alcuna autorizzazione perché non “ambiguo”. Uno strumento che esiste e funziona da tempo nel nostro principale competitor, la Germania.
«La “Licenza Zero” – sottolinea Marco Padovan, avvocato dell’omonimo studio legale milanese Padovan – allinea l’Italia a quei Paesi comunitari che già disponevano di tale strumento e potrebbe avere un’importanza dirompente per le imprese del settore, perchè potrebbe garantire quelle certezze agli esportatori che sinora sono mancate».
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Fonte: il sole 24 ORE: Commercio estero –di Laura Cavestri 07 marzo 2018