LA CASSAZIONE SI PRONUNCIA IN MATERIA DI COMPRAVENDITA INTERNAZIONALE E TERMINI PER LA DENUNCIA DEI DIFETTI DI CONFORMITÀ

Con sentenza n. 1605, depositata il 26 gennaio 2021, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sull’applicazione della Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di merci, ratificata dall’Italia con legge n. 765/1985, con particolare riferimento all’applicabilità dei termini di decadenza e prescrizione per la denuncia dei difetti dei beni compravenduti.

La vicenda nasce dal ricorso di una società tedesca in liquidazione la quale ha impugnato la condanna al pagamento di un importo a titolo di acquisto di forniture non pagate in favore di altra società venditrice italiana in amministrazione straordinaria.

Il Tribunale di Frosinone aveva accolto in primo grado la domanda di pagamento proposta della società italiana, sebbene la società tedesca avesse resistito in giudizio deducendo l’esistenza di vizi nei beni oggetto della fornitura e chiesto, in via riconvenzionale, il risarcimento del danno.

Il Giudice di primo grado, pur ritenendo applicabile il disposto della Convenzione di Vienna, alla luce della diversa nazionalità della società venditrice (italiana) e della società acquirente (tedesca), anche in materia di termini per la denuncia dei vizi dei beni oggetto della fornitura, aveva tuttavia ritenuto che il ‘termine ragionevole’ per la denuncia ex art. 39 fosse spirato, rigettando così l’eccezione proposta dalla società tedesca.

Quest’ultima aveva dunque proposto gravame ma la statuizione di primo grado era stata sostanzialmente confermata dalla Corte d’Appello di Roma la quale, sebbene l’appellante avesse reiterato la sua eccezione in tema di vizi rilevando che ‘le denunce [erano] state effettuate entro il termine ragionevole’ di cui alla Convenzione di Vienna, aveva tuttavia regolato la questione in base a una diversa base giuridica, ovvero il disposto di cui all’art. 1495 c.c. che condiziona la tempestività della denuncia al termine di otto giorni dalla scoperta e un anno dalla consegna dei beni.

Ritenendo tale termine decorso – e senza fornire alcun a motivazione rispetto a tale scelta interpretativa circa la diversa normativa applicata – la Corte aveva, dunque, rigettato l’appello.

La società tedesca ha dunque proposto ricorso per Cassazione, denunciando l’errata applicazione della normativa italiana inspiegabilmente adottata dal Giudice di secondo grado a fondamento della sua decisione, e dunque la mancata applicazione e comunque la violazione della Convenzione di Vienna del 1980, nonché ‘l’erronea e insufficiente motivazione’ da parte della Corte d’Appello sul punto.

Infatti, al fine di valutare la tempestività della denuncia dei vizi, parte ricorrente ha assunto che avrebbero dovuto ritenersi applicabili le disposizioni in materia di decadenza di cui agli art. 38 e 39 della predetta Convenzione, e dunque il criterio pattizio del ‘tempo ragionevole’, nel termine massimo di decadenza di due anni previsto nel predetto strumento internazionale, in quanto come già rilevato in precedenza dalla stessa Cassazione (sent. 1867/2018), ” la preferenza dell’applicazione della Convenzione delle Nazioni Unite, rispetto alle norme di diritto internazionale privato, si fonda essenzialmente su un giudizio di prevalenza del diritto materiale uniforme rispetto alle norme di diritto internazionale privato”.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso con rinvio, censurando la scelta del Giudice a quo di pronunciarsi in favore dell’applicazione della normativa italiana “senza spiegare in alcun modo la ragione di una tale opzione interpretativa”: in particolare, la Corte ha censurato ” l’omissione di precipua e intellegibile motivazione’ sul punto, ritenendo meritevole di ricorso per Cassazione “l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante [che si traduca come in questo caso in] mancanza assoluta di giustificazione motivazionale”.

Se da più parti tale sentenza è stata interpretata come una diretta indicazione della Corte circa l’applicabilità della Convenzione di Vienna rispetto ai termini per la denuncia dei difetti di conformità dei beni oggetto di vendita internazionale di merci, in verità, pur nella sua estrema sinteticità, la Corte sembra piuttosto soffermarsi sulla mancanza di una chiara motivazione da parte della Corte d’appello circa la sua scelta di applicare i parametri ex art. 1495 c.c. in vece di quelli convenzionali, rimettendo al giudice del rinvio per la decisione nel merito.

Parrebbe tuttavia delineabile, anche per via del riferimento alla sua precedente decisione n. 1867/2018 sulla “prevalenza del diritto materiale uniforme [e quindi della Convenzione di Vienna ] rispetto alle norme di diritto internazionale privato” (che, seppur proposta dalla ricorrente, viene espressamente riportata nella decisione), una indicazione della Corte in tal senso.