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ARBITRATO INTERNAZIONALE: LA CORTE SUPREMA AMERICANA ALLARGA LE MAGLIE DELL’APPLICAZIONE SOGGETTIVA DELLE CLAUSOLE ARBITRALI ALLA LUCE DEL DIRITTO INTERNO

Studio Legale Padovan

Con la sentenza del 1 giugno 2020 n. 18-1048 emessa nel caso GE Energy Power Conversion France SAS v. Outokumpu Stainless USA, la Corte Suprema americana ha affermato il rilevante principio per cui la Convenzione di New York concernente il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali estere (la “Convenzione di New York”) non proibisce l’applicazione di una normativa nazionale che consenta il ricorso all’arbitrato anche ad un soggetto che non sia direttamente parte del contratto in cui è prevista la clausola arbitrale.

La vicenda nasce da una serie di contratti conclusi da ThyssenKrupp USA con F. L. Industries (società di ingegneria francese) per la costruzione di un’acciaieria in Alabama. A sua volta, F. L. Industries aveva subappaltato la costruzione di alcuni motori a GE Energy Power Conversion France (filiale francese di General Electric) che aveva, quindi, fabbricato ed istallato gli stessi.

Quando, dopo qualche tempo, tali motori erano risultati mal funzionanti, la società Outokumpu Stainless USA, che nel frattempo aveva rilevato le attività di ThyssenKrupp sul sito dell’Alabama, ha citato la GE Energy Power innanzi ai giudici dello stato. Tuttavia, avendo Outokumpu accettato la clausola compromissoria presente nei contratti illo tempore sottoscritti tra ThyssenKrupp e F. L. Industries, GE Energy Power aveva ritenuto che anche la disputa tra quest’ultima e la Outokumpu dovesse essere risolta in arbitrato, sebbene il subappaltatore non fosse parte dei contratti che prevedevano la clausola arbitrale, e ciò ai sensi della dottrina statunitense dell’equitable estoppel.

L’equitable estoppel è un principio di common law che, in materia di arbitrato, consente a un soggetto che ha sottoscritto un contratto di applicare la clausola compromissoria ivi prevista anche in caso di dispute verso soggetti terzi al contratto che siano strettamente connesse allo stesso. Alcune corti americane hanno esteso la portata di tale principio anche al caso, come nell’ipotesi sub judice, in cui un soggetto che non abbia sottoscritto la clausola compromissoria chieda di risolvere in arbitrato le controversie nei confronti di un soggetto che l’abbia sottoscritta quando vi sia una “close reletionship between the entities involved” e i claims proposti siano “intimately founded and interwined” con i termini del contratto che contenga l’accordo arbitrale (Sunkist Soft Drinks v. Sunkist Growers, 10 F.3d 753 (11th Cir. 1993))

Nel caso proposto dalla GE Energy Power, la Corte d’Appello per l’11mo Circuito aveva, tuttavia, ritenuto che, in presenza di clausola compromissoria, la Convenzione di New York imponesse al tribunale di uno Stato di rinviare in arbitrato solo le parti che fossero effettivamente firmatarie della clausola arbitrale. Di conseguenza, non essendo GE Energy Power parte dei contratti in questione, questa non poteva eccepire l’equitable estoppel (cristallizzato nel Chapter 1 del Federal Arbitration Act – FAA), e quindi beneficiare della clausola arbitrale, in quanto tale norma era in contrasto con la Convenzione.

Secondo la Corte d’Appello, infatti, l’Articolo II (1) e (2) della Convenzione di New York limiterebbe la possibilità di rimettere in arbitrato una disputa solo relativamente alle parti che abbiano effettivamente firmato l’accordo di arbitrato.

La Corte Suprema è stata, però, di diverso avviso.

Chiamata, infatti, a pronunciarsi sulla questione “se la dottrina dell’equitable estoppel di cui al Chapter 1 del FAA sia in conflitto con la Convenzione [di New York]”, la Corte ha concluso in senso negativo.

I Supremi Giudici hanno rilevato che la Convenzione non si pronuncia circa la possibilità da parte di soggetti terzi al contratto in cui sia prevista una clausola compromissoria di utilizzare la stessa per dispute con uno dei contraenti del contratto.

I Giudici hanno rilevato che dell’intera Convenzione, solo l’Articolo II è dedicato agli accordi arbitrali e solo il paragrafo II (3) si occupa dell’implementazione degli stessi, prevedendo che “Il tribunale di uno Stato contraente, cui sia sottoposta una controversia su una questione, per la quale le parti hanno concluso una convenzione secondo il presente articolo, rinvierà le medesime, a domanda d’una di esse, a un arbitrato, sempre che non riscontri che la detta convenzione sia caduca, inoperante o non sia suscettiva d’essere applicata”.

La lettera di tale previsione, dunque, non impedisce l’applicazione del diritto interno e, come nel caso in esame, anche di norme come quella sull’equitable estoppel che siano più ‘generose’ in merito alla possibilità di applicare convenzioni arbitrali anche da parte di soggetti terzi non contraenti, non prevenendo la norma internazionale che tali accordi possano essere fatti valore solo dai soggetti che li hanno effettivamente sottoscritti.

La Corte, dunque, ha interpretato la Convenzione facendo leva sul linguaggio non esclusivo della norma in commento, la quale non precluderebbe “the use of domestic law to enforce arbitration agreements”. Da qui la conclusione per cui “nothing in the text of the Convention conflicts with the application of domestic equitable estoppel doctrine permitted under Chapter 1 of the FAA”.

La sentenza, tuttavia, non ha affermato che la società attrice potesse effettivamente applicare la clausola arbitrale in discussione in base alla normativa interna richiamata, questione questa rimessa alla corte di rinvio, ma ha dettato il principio per cui la Convenzione di New York non confligge con l’utilizzo di clausole arbitrali da parte di soggetti non firmatari del contratto in cui siano previste, ai sensi della dottrina dell’equitable stoppel come prevista dal diritto interno.
La decisione della Corte Suprema americana ha, di fatto, dato una lettura espansiva del perimetro di applicazione soggettiva delle clausole arbitrali in un contesto transnazionale le quali, dunque, possono essere messe in esecuzione anche da soggetti che non siano parte del contratto che le prevede se così consentito dalla legislazione nazionale applicabile, senza che ciò possa dirsi in contrasto con il tenore della Convenzione di New York.

Sebbene la questione sottoposta all’attenzione delle Corte Suprema fosse focalizzata sulla portata e l’applicazione della Convenzione, molti commentatori hanno notato come i Giudici non abbiano in realtà fatto alcun riferimento – se non in maniera del tutto incidentale (e limitatamente alla storia dei negoziati e della ratifica del trattato) – al diritto internazionale.

Ciononostante, le conclusioni cui giungono sembrano rispecchiare (non è chiaro se volontariamente) un principio cardine – sebbene oggi molto discusso in merito alla sua portata attuale – conosciuto come ‘Lotus principle’ alla cui stregua tutto ciò che non è espressamente proibito dal diritto internazionale è ammesso.
Tale principio, sviluppato dalla Corte Permanente di Giustizia Internazionale (Lotus, 1926) e confermato, sebbene con sempre maggiori caveat, dalla Corte Internazionale di Giustizia (Nuclear Weapons Advisory Opinion, 1996; Kosovo Advisory Opinion, 2010) prevede che uno Stato possa agire liberamente fintanto che tale condotta non sia (esplicitamente o implicitamente) vietata.

Il ragionamento della Corte Suprema americana segue di fatto tale approccio, chiedendosi se la Convenzione di New York confligga (i.e. proibisca) l’applicazione della normativa interna sull’equitable estoppel, e sul punto rileva come il Trattato sia semplicemente silente circa l’enforcement di un accordo arbitrale da parte di un soggetto non firmatario dello stesso. Alla luce di tanto, la Corte afferma quindi che “niente nel testo della Convenzione può essere letto nel senso di proibire l’applicazione della dottrina nazionale dell’equitable estoppel”, rilevando l’assenza di un divieto e, di conseguenza, la possibilità da parte delle corti interne di applicare la legge nazionale.

Tale pronuncia è di sicuro rilievo per gli investitori negli Stati Uniti in quanto pone il principio per cui la legge nazionale può ampliare il perimetro dell’applicazione soggettiva delle clausole arbitrali nei contratti internazionali, senza che ciò possa essere considerato contrario alla Convenzione di New York.

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