di Giuliana Ferraino
Il 91% delle imprese italiane vede crescere la complessità normativa: sanzioni e dazi restano la barriera principale. Solo il 7,6% di reshoring nell’Ue. A Milano gli Stati Generali sul trade compliance
Il commercio internazionale diventa sempre più complesso per le aziende.Tra sanzioni, dazi, nuove regole sulla sostenibilità e instabilità geopolitica, le imprese italiane sono chiamate a ridefinire le proprie strategie. A fotografare lo stato dell’arte è il sondaggio condotto dallo Studio Legale Padovan su un campione di 66 aziende di diversi settori e dimensioni, presentato in vista della seconda edizione degli Stati Generali International Trade Compliance, organizzati insieme ad AT+ICA e in programma a Milano il 29 e 30 settembre, presso il Centro Congressi della Fondazione Cariplo.
Dai dati emerge un cambio di paradigma: la compliance normativa non è più considerata un ostacolo burocratico, ma uno strumento per auementare la resilienza in un mondo di crescenti (dis)equilibri global. Il 53% delle aziende dispone già di un programma interno strutturato di trade compliance, mentre il 28,8% è in fase di realizzazione e un ulteriore 15,2% intende adottarne uno. Solo il 3% esclude di volerlo implementare. Un segnale chiaro che le imprese stanno investendo in processi e strumenti – dai software di screening alle procedure di due diligence – consapevoli che la conformità può trasformarsi in vantaggio competitivo.
Russia: tra cautela e attrattiva
Il tema delle sanzioni internazionali resta centrale. Prima del 2022, il 69,7% delle aziende intratteneva rapporti commerciali con la Russia. Dopo l’invasione dell’Ucraina, il 32,6% si è ritirato, ma oltre la metà (52,2%) ha continuato ad operare, adattandosi al nuovo quadro normativo. Sorprende soprattutto la prospettiva futura: il 41,3% delle imprese considera molto probabile un ritorno sul mercato russo qualora le restrizioni venissero revocate, mentre il 56,5% lo valuterebbe con cautela. Una disponibilità che riflette la memoria storica delle relazioni economiche ma apre interrogativi sulla capacità di bilanciare rischi geopolitici e opportunità commerciali.
Preoccupano anche i controlli sull’export
Il 91% delle imprese percepisce un aumento della complessità normativa: frammentazione delle regole, incertezza interpretativa, moltiplicazione dei vincoli (dai dazi all’export control, fino ai requisiti ESG). Le principali barriere segnalate restano sanzioni e dazi (50%), seguite da controlli su import/export (31,8%) e instabilità regionale (27,3%). Ma cresce anche l’attenzione verso la normativa cinese sull’export control (19,7%), un fronte che assume un peso crescente nello scenario geopolitico globale.
Resistenza a cambiare la supply chain
Sul fronte delle catene di fornitura, invece, prevale l’inazione: il 62,1% delle aziende non ha modificato la propria supply chain nonostante pandemia, guerra e tensioni globali. Una scelta che rischia di rivelarsi miope, avvertono gli autori del sondaggio, perché filiere troppo lunghe o dipendenti da Paesi «non amici» potrebbero diventare vulnerabili a nuove crisi. Solo il 18,2% ha avviato strategie di friendshoring, il 12,1% di nearshoring e il 7,6% di reshoring nell’Ue.
Gli ostacoli imposti dall’Europa
Le nuove normative europee sulla sostenibilità – dal CBAM al regolamento contro la deforestazione (EUDR), fino alla CSRD – sono viste principalmente come ostacoli. Eppure, osserva il sondaggio, potrebbero trasformarsi in un driver di reputazione e accesso ai mercati più sensibili ai criteri ambientali e sociali, se integrate in una visione di lungo periodo.
Resta marcata la differenza tra grandi imprese e Pmi: le prime rafforzano i propri presidi di compliance, le seconde faticano a tenere il passo per mancanza di risorse e approccio strutturato. Un divario che rischia di polarizzare ulteriormente la competitività del sistema Italia, a meno di interventi mirati di supporto istituzionale e associativo.
Le priorità per i prossimi anni
Guardando al futuro, l’Europa resta al centro delle strategie (33,3%), seguita da Nord America (24,2%) e Medio Oriente (15,2%), indicati come i mercati più strategici. L’India (10,6%) emerge come partner in crescita, superando la Cina (4,5%), segno di un graduale spostamento degli equilibri nelle geografie dell’export.
I numeri del sondaggio sono un punto di partenza in occasione degli «Stati Generali International Trade Compliance», che riuniranno rappresentanti delle istituzioni italiane ed europee, esperti internazionali e imprese per discutere delle nuove sfide del commercio globale: dai rapporti transatlantici dopo i primi mesi della presidenza Trump ai nodi dell’export control, fino alle nuove regole ESG.