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SANZIONI UE CONTRO LA RUSSIA: LA CGUE RESPINGE I RICORSI CONTRO IL DIVIETO DI PRESTARE SERVIZI DI CONSULENZA GIURIDICA

Studio Legale Padovan

Come noto, a partire dalla pubblicazione del Regolamento (UE) 2022/1904, che ha modificato il Regolamento (UE) n. 833/2014 (“Reg. 833/2014”) il quale impone misure restrittive contro la Russia, è stato imposto un divieto di prestare, direttamente o indirettamente, servizi di consulenza giuridica a persone giuridiche, entità e organismi stabiliti in Russia, salva l’applicabilità di eccezioni e/o deroghe autorizzative.

Nonostante i numerosi ricorsi avverso tale disposizione, il Tribunale dell’Unione Europea (“Tribunale”) ha respinto tutte le censure di supposta illegittimità della norma in esame, confermandone e precisandone la portata.

  1. I casi

Il Tribunale si è potuto esprimere sulla legittimità e sulla portata del divieto di prestazione di servizi di consulenza giuridica a entità russe ai sensi dell’art. 5 quindecies, par. 2 del Reg. 833/2014 a seguito di tre diversi ricorsi proposti da diversi soggetti.

Nel caso T-797/22, la disposizione in esame è stata contestata dall’Ordre néerlandais des avocats du barreau de Bruxelles, sostenuto dal Bundesrechtsanwaltskammer (l’Ordine federale degli avvocati tedeschi) e dall’Ordre des avocats de Genève.

Nel caso T-798/22, invece, il ricorso è stato presentato da Julie Coutourier, presidente del Conseil National des Barreux francese, sostenuta dall’Ordre des avocats de Genève.

Da ultimo, nel caso T-828/22, il ricorso è stato proposto dalla associazione di diritto francese ACE-Avocats, ensemble, sostenuta dall’Avv. Lupicinio Rodríguez Jiménez.

In tutti i casi, a sostegno del Consiglio, quale parte resistente, sono intervenuti l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, la Commissione europea e la Repubblica di Estonia.

  1. Gli argomenti dei ricorrenti e del Tribunale

Le argomentazioni dedotte dai ricorrenti nei tre casi sono simili e vertono essenzialmente su tre motivi principali: (i) violazione degli artt. 7, 47 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (“Carta”), (ii) ingerenza nell’indipendenza degli Avvocati e nei valori dello Stato di diritto nonché violazione del principio di proporzionalità e (iii) violazione del principio di certezza del diritto.

Per quanto riguarda il motivo (i), i ricorrenti hanno sostenuto che il divieto di prestare servizi di consulenza giuridica a entità russe lederebbe il diritto a una tutela legale effettiva, in quanto dovrebbe riconoscersi l’esistenza di un generale diritto di rivolgersi a un avvocato, a prescindere dal fatto che la consulenza si inserisca nel corso di un procedimento giudiziario e/o amministrativo. Il Tribunale, tuttavia, ha solamente riconosciuto che esiste un diritto a ricevere la consulenza di un avvocato (i) nel contesto di un contenzioso o (ii) in una fase di pre-contenzioso, ove sia necessario stabilire analizzare le circostanze per comprendere se sia necessario avviare tale contenzioso. Al di fuori di tali ipotesi non vi sarebbe un diritto ad avere accesso ai servizi di un avvocato e, quindi, il dettato dell’art. 5 quindecies, par. 2 del Reg. 833/2014, che prevede eccezioni connesse a situazioni di liti giudiziali, è fatto salvo.

Inoltre, nel contesto di tale motivo, i ricorrenti hanno sostenuto che l’art. 5 quindecies violerebbe i diritti connessi al segreto professionale degli avvocati tutelato dall’art. 7 della Carta, laddove richiede agli avvocati di informare le autorità competenti del fatto che intendono avviare un rapporto professionale con un dato cliente ove gli stessi vogliano beneficiare di una deroga autorizzativa.

Sul punto, il Tribunale ha chiarito che l’art. 5 quindecies prevede sì che gli avvocati debbano condividere alcune informazioni sui propri rapporti professionali al fine di avvalersi delle deroghe autorizzative di cui al medesimo articolo, ma, allo stesso tempo, rimette alle autorità nazionali competenti la definizione delle modalità concrete di raccolta e trattamento di tali informazioni. Pertanto, secondo il Tribunale, è necessario verificare che tali misure nazionali siano in conformità con il segreto professionale degli avvocati: non si vede quindi alcun motivo per annullare in toto le previsioni dell’art. 5 quindecies, quanto, se del caso, le norme nazionali in contrasto con l’art. 7 della Carta.

Con riferimento, poi, al motivo (ii), i ricorrenti hanno sostenuto che il divieto di prestare consulenza giuridica a entità russe costituirebbe un’eccessiva ingerenza nell’indipendenza degli avvocati, protetta dal Codice Deontologico degli avvocati europei, nonché una violazione del principio dello Stato di diritto su cui si fonda l’Unione ai sensi dell’art. 2 del Trattato sull’Unione Europea (“TUE”).

A tal riguardo, il Tribunale ha segnalato che il codice deontologico non costituisce norma imperativa ai sensi del diritto UE e non può quindi essere utilizzato come base giuridica per annullare l’art. 5 quindecies. Allo stesso tempo, nel caso T-797/22, è stato chiarito che i principi connessi allo Stato di diritto come richiamato dall’art. 2 TUE garantiscono un diritto a un effettivo ricorso giurisdizionale, ma non stabiliscono il diritto a ricevere consulenza su materie non connesse a un contenzioso o a un pre-contenzioso. Poiché l’art. 5 quindecies, secondo il Tribunale, non può che interpretarsi nel senso che non vieta qualsiasi consulenza connessa a un procedimento giurisdizionale, non è stato ravvisato alcun motivo per dichiarare l’illegittimità della norma in esame per un contrasto con l’art. 2 TUE.

Proprio in connessione al limitato ambito di applicazione dell’art. 5 quindecies, il Tribunale ha altresì ritenuto il divieto di prestare consulenza legale non connessa a un (anche eventuale) contenzioso come proporzionato rispetto agli obiettivi delle misure restrittive UE contro la Russia e agli interessi in gioco nel processo di bilanciamento degli stessi.

Da ultimo, rispetto al motivo (iii), le parti ricorrenti hanno ritenuto che il divieto di prestare consulenza legale di cui all’art. 5 quindecies violerebbe il principio della certezza del diritto, in quanto non sarebbe chiaro quali servizi di consulenza siano ricompresi nel divieto e quali non lo siano e, allo stesso tempo, non sarebbe possibile comprendere il significato delle espressioni “controllo esclusivo” e “controllo congiunto” che costituiscono requisito essenziale per beneficiare di alcune deroghe ai sensi del par. 7 dell’art. 5 quindecies.

Il Tribunale ha tuttavia respinto questi argomenti, segnalando che:

  • ai sensi dei paragrafi 5 e 6 dell’art. 5 quindecies, è agevole comprendere che il divieto in esame non si applica ai servizi di consulenza legale connessi a un (anche eventuale) contenzioso; e
  • la nozione di controllo non può considerarsi controversa, come chiarito nella sentenza C-123/18 e, più recentemente, nella sentenza T-635/22 di cui avevamo parlato in questo post, nel contesto delle misure restrittive UE.

In ragione di quanto sopra, anche il motivo connesso al principio di certezza del diritto è stato respinto dal Tribunale. Il divieto di prestare servizi di consulenza legale ai sensi dell’art. 5 quindecies del Reg. 833/2014, pertanto, continua a espletare i propri effetti senza aver subito modifiche sostanziali per profili di contrasto con il diritto UE.

I professionisti dello Studio Legale Padovan, che vantano un’esperienza pluridecennale nel campo delle sanzioni economiche internazionali, sono a disposizione degli operatori italiani e unionali per assisterli in qualsiasi problematica connessa con le misure restrittive UE, anche alla luce dei nuovi chiarimenti forniti dal Tribunale.

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