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GIURISPRUDENZA CGUE: CHIARIMENTI SU MISURE DI CONGELAMENTO, ORIGINE E PROVENIENZA DEI BENI NEL CONTESTO DI MISURE RESTRITTIVE E CONFISCHE

Studio Legale Padovan

Come noto, l’organo competente per l’interpretazione del diritto unionale è la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (“CGUE”), pur tenendo sempre a mente i suoi limiti in materia di misure restrittive, che rientrano nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (“PESC”). Con il continuo progredire ed evolversi delle misure restrittive adottate dall’Unione europea (“UE”), soprattutto contro la Russia e la Bielorussia, la Corte si è espressa su numerosi concetti essenziali in tali normative, fornendo alcuni chiarimenti importanti per gli operatori italiani e unionali.

  1. Caso Neves: competenza della Corte e legittimità della confisca

In data 10 settembre 2024, la Grande Sezione della CGUE ha pubblicato la sentenza relativa al caso C-351/22.

In tale circostanza, il seguente caso era stato portato di fronte alla Corte: la società rumena Neves 77 Solutions S.r.l. (“Neves”), che agisce normalmente come intermediario nel settore aeronautico, ha acquistato 32 stazioni radio R‑800L2E dal Portogallo, 20 delle quali fabbricate in Russia, e le ha poi esportate a Dubai, al fine ultimo di trasferirle in India su richiesta di un cliente ucraino.

A fronte di tale operazione, il governo rumeno ha inflitto una sanzione amministrativa pecuniaria di euro 30.000 alla Neves e ha ordinato di confiscare il profitto derivante dall’operazione, in quanto ritenuta in violazione del disposto dell’art. 2, par. 2, lettera a) della Decisione 2014/512, come poi recepita dal diritto rumeno, ai sensi della quale è vietato “prestare, direttamente o indirettamente, assistenza tecnica, servizi di intermediazione o altri servizi connessi ad attività militari e alla fornitura, alla fabbricazione, alla manutenzione e all’uso di armamenti e materiale connesso di qualsiasi tipo, ivi compresi armi e munizioni, veicoli ed equipaggiamento militari, equipaggiamento paramilitare e relativi pezzi di ricambio, a qualsiasi persona fisica o giuridica, entità o organismo in Russia, o destinati a essere ivi utilizzati”. Il governo rumeno sosteneva infatti che le stazioni radio in questione fossero prodotti militari in quanto riferibili alla categoria ML 11 dell’elenco dei prodotti militari approvato mediante il decreto n. 901/2019.

Instauratosi un processo, il tribunale rumeno incaricato ha effettuato un rinvio pregiudiziale alla CGUE per domandare inter alia se, interpretando la Decisione 2014/512, gli articoli 5 e 7 della stessa possano essere letti nel senso di consentire (a titolo di sanzione civile) una misura nazionale che autorizza la confisca integrale delle somme risultanti da un’operazione commerciale, come quella contemplata all’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della decisione 2014/512, nel caso in cui sia accertata la commissione di un fatto qualificato dalla legge nazionale come violazione amministrativa.

Per rispondere a tale quesito, la Corte ha anzitutto chiarito che la (i) è competente a giudicare sui regolamenti adottati ai sensi dell’art. 215 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”) per garantire la tutela giurisdizionale dei terzi colpiti da tali provvedimenti; di conseguenza, (ii) la Corte ritiene che tale competenza debba estendersi anche a quegli atti prodromici all’adozione di un regolamento ai sensi dell’art. 215 TFUE, quale è la Decisione 2014/512, poiché il Consiglio ha una competenza vincolata ad adottare tutti gli atti necessari per dare attuazione a simili Decisioni e “la competenza conferita alla Corte dai Trattati al fine di garantire la tutela giurisdizionale dei terzi non può subire limitazioni per il fatto che il Consiglio non ha adottato tutte le misure necessarie sul fondamento dell’articolo 215, paragrafo 1, TFUE”.

Ritenendo quindi di avere la competenza necessaria a decidere sulla questione, la CGUE ha poi chiarito che “l’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della decisione 2014/512, letto alla luce del diritto di proprietà sancito dall’articolo 17 della Carta nonché dei principi di certezza del diritto e di legalità delle pene, deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una misura nazionale di confisca dell’intero ricavato di un’operazione di intermediazione contemplata dal citato articolo 2, paragrafo 2, lettera a), la quale intervenga, in maniera automatica, a seguito dell’accertamento, da parte delle autorità nazionali competenti, di una violazione del divieto di effettuare tale operazione e dell’obbligo di notificare quest’ultima”.

La confisca, pertanto, è stata in tale caso ritenuta legittima.

  1. Importazione di legno dal Myanmar

Il 5 settembre 2024, la Prima Sezione della CGUE ha emesso la sentenza C-67/23, con riferimento alla contestazione, da parte delle autorità tedesche avverso S.Z., amministratore delegato di una società tedesca (“Gmbh”) accusata di avere importato legno originario e esportato dal Myanmar in violazione del divieto di cui al Regolamento (CE) n. 194/2008.

In particolare, il legno era sì derivato da alberi cresciuti in Myanmar, ma gli stessi erano stati trasferiti a Taiwan dove avevano subito una lavorazione e solo successivamente era stato importato in Germania. Presso Taiwan il legno era stato diviso in tre gruppi, ciascuno dei quali aveva subito una delle seguenti lavorazioni:

– sfrondamento e scortecciamento di tronchi di legno di teak;

– segatura di tronchi di legno di teak per realizzare Teak-Squares (tronchi sfrondati e scortecciati nonché segati in cubi di legno);

– taglio di tronchi di legno di teak per ricavarne assi o tavole (legno segato).

Alla luce di ciò, il tribunale tedesco ha effettuato un rinvio pregiudiziale alla CGUE chiedendo se tali lavorazioni ed esportazione a Taiwan, prima che in Germania, potessero costituire un mutamento dell’origine o della provenienza del legno ai sensi del Regolamento (CE) n. 194/2008.

Sul punto, la Corte ha ricordato che, ai sensi dell’art. 24 del codice doganale dell’Unione, quando due o più Paesi concorrono alla realizzazione di un prodotto, lo Stato d’origine è quello in cui avviene l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale dello stesso, i.e. dove avviene l’ultima modifica sostanziale delle proprietà e delle composizioni fisiche del prodotto finalizzate a permetterne un dato utilizzo. Non rilevano, invece, né (i) una mera modifica dell’apparenza esterna di un prodotto né (ii) un mero aumento del suo valore, salvo casi di un’operazione di assemblaggio di diversi elementi, consistente nel montare diversi pezzi per formare una nuova unità coerente.

Nel caso di specie, quindi, la Corte ha ritenuto che sfrondamento, scortecciamento e segatura di tronchi di legno non costituiscano una lavorazione sostanziale, mentre tale criterio appare rispettato nel caso del taglio di tronchi per ricavarne assi o tavole (tra l’altro, con specifiche caratteristiche per l’uso navale), in quanto ciò comporta una modifica essenziale per la creazione di un nuovo prodotto.

La tesi della Corte è anche confermata dal fatto che il legno dopo le prime due lavorazioni viene classificato alla voce doganale 4403, la medesima del legno grezzo, mentre il legno tagliato in assi e tavole è classificato alla voce doganale 4407.

Pertanto, solo il terzo tipo di lavorazione permette di indicare il legno come di origine taiwanese, mentre nei primi due casi, l’origine permane quella vietata del Myanmar.

Per quanto concerne, invece, il concetto di “provenienza”, la Corte ha interpretato l’espressione “esportato dal Myanmar” di cui al Reg. 194/2008 come riferibile esclusivamente alla movimentazione diretta tra Myanmar e Unione europea.

  • Misure di congelamento dei fondi e delle risorse economiche e relativi obblighi di notifica e collaborazione

In data 11 settembre 2024, la Grande Sezione del Tribunale si è espressa, nel caso T-635/22, con riferimento alla richiesta di annullare la previsione del Regolamento (UE) n. 269/2014 (“Reg. 269/2014”), che impone misure restrittive di carattere soggettivo contro la Russia, ai sensi della quale i soggetti designati nell’allegato I hanno obblighi di dichiarazione dei fondi e di cooperazione con le autorità competenti in materia la cui inosservanza è comparata a un’elusione delle misure di congelamento dei fondi.

Più nei dettagli, la richiesta è stata inoltrata dai Sigg. Fridman e Khan, di nazionalità israeliana e russa, e dal Sig. Aven, di nazionalità lettone e russa, tutti designati nell’allegato I del Reg. 269/2014 e pertanto soggetti a misure di congelamento dei loro fondi e risorse economiche.

Il Tribunale, dopo aver dichiarato ammissibile la domanda in quanto è stato ritenuto sussistente un interesse specifico dei ricorrenti, ha respinto tutte le argomentazioni da questi presentate. In particolare, i ricorrenti hanno sostenuto che gli obblighi di notifica e di collaborazione sono obblighi che il Consiglio non avrebbe il potere di imporre ai sensi dell’art. 215 TFUE, in quanto (i) tale articolo non darebbe al Consiglio il potere di imporre obblighi positivi e (ii) comunque quelle in esame sarebbero sanzioni, non “misure restrittive”; inoltre, secondo i ricorrenti questi obblighi (iii) sarebbero eccessivamente lesivi della riservatezza della vita privata e (iv) avrebbero una illecita portata extraterritoriale.

Sul punto (i), il Tribunale ha chiarito che l’art. 215 TFUE non impone al Consiglio di prevedere solo obblighi di non facere nel contesto delle misure restrittive, potendosi quindi imporre obblighi positivi, e sul punto (ii) ha precisato che gli obblighi in esame non sono assimilabili a una sanzione di diritto interno, in quanto danno meramente attuazione agli obblighi di cui all’art. 2 del Reg. 269/2014.

Sul punto (iii), poi, il Tribunale ha ritenuto che gli obblighi in questione rispettano tutti i requisiti previsti dal diritto unionale per limitare un diritto fondamentale, vale a dire il fatto che siano previsti dalla legge, rispettano il contenuto essenziale del diritto di riservatezza, perseguono un obiettivo di interesse generale e sono proporzionati.

Inoltre, sul punto (iv), il Tribunale ha sottolineato che l’obbligo in esame si riferisce solo a fondi e risorse economiche che si trovano sotto la giurisdizione dell’Unione, pertanto non vi è alcun profilo di extraterritorialità.

Ultimo aspetto di fondamentale importanza è poi quello per cui il Tribunale ha respinto l’argomentazione per cui il concetto di “controllo” di cui alle misure restrittive UE sarebbe eccessivamente vago e non permetterebbe una determinazione certa da parte dei soggetti investiti dagli obblighi di cui al Reg. 269/2014.

In maniera non dissimile, sempre in data 11 settembre 2024, nella causa T-644/22, il Tribunale ha confermato il medesimo approccio sulla legittimità degli obblighi di notifica e di cooperazione imposti a soggetti designati ai sensi dell’allegato I del Reg. 269/2014.

I professionisti dello Studio Legale Padovan, che vantano un’esperienza pluridecennale nel campo delle sanzioni economiche internazionali, sono a disposizione degli operatori italiani e unionali per assisterli in qualsiasi problematica connessa con le misure restrittive UE, anche alla luce dei nuovi chiarimenti forniti dalla CGUE.

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