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HALLIBURTON V. CHUBB: LA CORTE SUPREMA DEL REGNO UNITO SI PRONUNCIA IN MATERIA DI IMPARZIALITÀ DEGLI ARBITRI

Studio Legale Padovan

Con una decisione resa il 27 novembre 2020, la Corte Suprema del Regno Unito si è pronunciata nel caso Halliburton Company v Chubb Bermuda Insurance Ltd sul tema dell’imparzialità degli arbitri e sull’obbligo di rivelare circostanze che possano dare origine a giustificabili dubbi sulla loro imparzialità.

I fatti della controversia

La controversia trae origine dall’esplosione nell’aprile 2010 della piattaforma di perforazione Deepwater Horizon nel Golfo del Messico: la piattaforma, di proprietà di Transocean Holdings LLC (‘Transocean’) era locata a BP Exploration and Production Inc. (‘BP’) mentre la Halliburton Company (‘Halliburton’) era un subappaltatore incaricato da BP.

L’incidente ha dato origine a numerosi giudizi risarcitori che vedevano coinvolti Transocean, BP e Halliburton: in particolare, Halliburton dopo aver transatto numerose richieste di risarcimento nei suoi confronti per circa 1.1 miliardi di dollari si è rivolta alla compagna assicuratrice Chubb Bermuda Insurance Ltd (‘Chubb’), con cui aveva concluso una polizza di responsabilità civile di tipo ‘Bermuda Form’, per il recupero delle somme transatte. Chubb ha tuttavia respinto le richieste di Halliburton assumendo che la transazione conclusa da Halliburton non fosse ragionevole.

Pertanto, nel gennaio 2015, Halliburton ha avviato, ai sensi della polizza assicurativa, un arbitrato con sede a Londra: ciascuna delle parti ha quindi nominato un arbitro di parte mentre un terzo arbitro con funzioni di presidente del tribunale arbitrale, stante il disaccordo tra i due arbitri di parte, è stato scelto dall’Alta Corte di Londra che ha nominato Mr. Rokison QC, uno dei candidati proposti da Chubb.

Prima della sua nomina, Mr. Rokison ha regolarmente informato Halliburton e l’Alta Corte del suo ruolo di arbitro in diversi procedimenti arbitrali, due dei quali tuttora pendenti, che coinvolgevano Chubb.

Inoltre, successivamente alla sua nomina nell’arbitrato Halliburton/Chubb, Mr. Rokison accettava altresì la designazione quale arbitro in due ulteriori procedimenti connessi all’incidente della Deepwater Horizon: in uno veniva nominato quale arbitro di parte scelto da Chubb in un giudizio promosso da Transocean (la ‘Seconda Nomina’) mentre, poco dopo, veniva nominato quale arbitro in un procedimento promosso da Transocean contro un diverso assicuratore (la ‘Terza Nomina’). Mr. Rokison ometteva di comunicare le sue ulteriori nomine a Halliburton.

Nel novembre 2016, Halliburton veniva a conoscenza della Seconda e della Terza Nomina ma Mr. Rokison giustificava la mancata comunicazione come una semplice ‘svista’; lo stesso, inoltre, informava di essere pronto a dimettersi dalle funzioni di arbitro nei procedimenti successivi se questi non si fossero conclusi a breve attraverso determinazioni preliminari su questioni di interpretazione contrattuale.

Ciononostante, Halliburton chiedeva che Mr. Rokison si dimettesse da presidente del tribunale arbitrale ma Chubb si opponeva sostenendo che le dimissioni avrebbero comportato uno spreco di tempo e denaro.

Halliburton ha quindi chiesto all’Alta Corte di Londra di ordinare, ai sensi dell’articolo 24(1)(a) dell’Arbitration Act 1996 (l’”Arbitration Act”) che Mr. Rokison fosse rimosso come arbitro dal tribunale arbitrale sulla base del fatto che esistevano circostanze che davano luogo a giustificabili dubbi sulla sua imparzialità. Nel febbraio 2017, l’Alta Corte ha respinto la richiesta di rimozione ritenendo che (I) le circostanze non davano luogo a dubbi giustificabili sull’imparzialità dell’arbitro e che (II) non esisteva da parte dello stesso nessun obbligo di divulgazione.

Nel febbraio 2018, la Corte d’Appello del Regno Unito ha respinto l’appello proposto da Halliburton affermando che, sebbene un arbitro che partecipi a più arbitrati derivanti dagli stessi fatti che si sovrappongono potrebbe rappresentare una legittima causa di preoccupazione, ciò non giustifica di per sé solo una deduzione di apparente parzialità: per sostenere una tale deduzione sarebbe necessario, infatti, “qualcosa di sostanziale”. Inoltre, la Corte d’Appello ha rilevato che, sebbene Mr. Rokison avrebbe dovuto rivelare a Halliburton la sua nomina nei procedimenti successivi, la mancata divulgazione non avrebbe portato un osservatore informato ed equo a concludere che ci fosse una reale possibilità che il presidente fosse di parte (questo dell’“osservatore informato ed equo” è il test fondamentale nel diritto inglese per determinare l’apparenza della parzialità).

Halliburton ha dunque fatto ricorso alla Corte Suprema, fondando il suo gravame su due questioni: (a) se e in che misura un arbitro possa accettare incarichi in più cause riguardanti la stessa materia o sovrapposte con una sola parte in comune senza per questo dare adito a una apparente parzialità; e (b) se e in che misura possa farlo senza nulla divulgare.

Data l’importanza della questione, la Corte Suprema ha autorizzato e ricevuto osservazioni dalla International Chamber of Commerce (‘ICC’) dalla London Court of International Arbitration (‘LCIA’), nonché dal Chartered Institute of Arbitrators (‘CIArb’), dalla London Maritime Arbitrators Association (‘LMAA’) e dalla Grain and Feed Trade Association (‘GAFTA’).

La sentenza della Corte Suprema

La Corte Suprema ha in primo luogo confermato la portata della legge inglese in materia, ribadendo che per determinare se c’è una apparente parzialità tale da comportare la rimozione di un arbitro, è necessario applicare un test oggettivo, ovvero valutare se un osservatore informato ed equo, tenendo conto delle caratteristiche particolari dell’arbitrato internazionale, concluderebbe che c’era una reale possibilità che l’arbitro fosse di parte. Le considerazioni nell’applicazione di questo test includono la natura privata dell’arbitrato, il fatto che, a differenza di una decisione del tribunale di primo grado, un arbitrato non è soggetto ad appelli su questioni di fatto e raramente su questioni di diritto, nonché l’interesse finanziario di un arbitro ad ottenere ulteriori nomine.

La Corte ha poi fissato il principio di diritto per cui Mr. Rokison era soggetto ad un obbligo legale di rivelare la sua partecipazione a giudizi arbitrali successivi (compresi quelli relativi alla Seconda e alla Terza Nomina), salvo poi concludere nel senso che alla data dell’udienza per la sua rimozione quale arbitro nel procedimento Halliburton, un osservatore equo e informato non avrebbe concluso che esistevano circostanze che davano origine a dubbi giustificabili sull’imparzialità dell’arbitro. La Corte Suprema ha così respinto il ricorso e ha rifiutato di ordinare la rimozione.

I principi giuridici applicati e invocati dalla Corte Suprema a sostegno di tale decisione sono di grande rilevanza:

– Il dovere di imparzialità.
La Corte Suprema ha sottolineato che il dovere di imparzialità è sancito dalla sezione 33 dell’Arbitration Act che richiede a un tribunale di “agire in modo equo e imparziale tra le parti”: ciò rappresenta un “dovere cardine” di un arbitro e, secondo il diritto inglese, gli stessi standard di equità e imparzialità si applicano sia agli arbitri nominati dalle parti che agli arbitri “indipendenti”.

– L’obbligo di divulgazione.
Secondo la Corte, al fine di promuovere i principi di imparzialità ed equità, e a meno che le parti non concordino diversamente, ogni arbitro ha l’obbligo di rivelare qualsiasi potenziale conflitto di interessi che può dare origine a dubbi giustificabili sulla sua imparzialità: quello di divulgazione è così considerato dalla legge inglese come un obbligo giuridico piuttosto che una semplice good practice e la mancata divulgazione di questioni rilevanti è un fattore che un osservatore equo e informato può prendere in considerazione nel valutare se c’è una reale possibilità di parzialità.

Tale obbligo di divulgazione (che in precedenza non era stato chiaramente stabilito nel diritto inglese) è considerato alla base dell’integrità degli arbitrati con sede in Inghilterra e deriva dai doveri propri di un arbitro ai sensi dell’articolo 33 dell’Arbitration Act, a sua volta dando luogo a una clausola implicita nel contratto tra l’arbitro e le parti per cui l’arbitro sarà tenuto ad agire con imparzialità nell’esercizio delle sue funzioni. Il dovere di divulgazione richiede, quindi, che l’arbitro riveli le questioni che potrebbero ragionevolmente dare adito a giustificabili dubbi sulla sua imparzialità e colui che non rispetta tale obbligo alla e dalla data della sua nomina è passibile di rimozione ai sensi dell’articolo 24 dell’Arbitration Act.

La Corte non ha condiviso l’assunto della Corte d’Appello per cui è necessario “qualcosa di più” per stabilire una apparente parzialità di un arbitro: a seconda della consuetudine e del settore, la semplice accettazione di incarichi in più procedimenti relativi a situazioni di fatto connesse e aventi una parte comune è, infatti, in grado di dare luogo a una parvenza di parzialità. Pertanto, in linea generale, la divulgazione è necessaria, a meno che l’arbitrato non sia in un settore in cui esiste una pratica accettata di nomine multiple. Per esempio, mentre il verificarsi di arbitrati interconnessi è raro nella pratica dell’ICC (e quindi questi casi possono più facilmente dar luogo a un apparent bias), tale fenomeno è invece comune in altri sistemi come il GAFTA, così come è più probabile l’ipotesi di incarichi multipli. Pertanto, la decisione della Corte Suprema suggerisce che non sarebbe necessario per gli arbitri in tali tipi di arbitrati rivelare incarichi comuni o sovrapposti perché le pratiche arbitrali (nel GAFTA come della LMAA) sono tali che incarichi multipli non sono generalmente percepiti come questioni che sollevano dubbi sull’imparzialità di un arbitro.

– Il rapporto tra obbligo di divulgazione e obblighi di privacy e riservatezza.
L’obbligo di divulgazione è però soggetto agli obblighi di privacy e riservatezza di un arbitro. La Corte ha osservato che la relazione tra il dovere di mantenere la riservatezza e il dovere di divulgazione non è chiara, ma ha ugualmente fornito una guida pratica agli arbitri: se un arbitro è nominato in un secondo arbitrato e tale nomina dovrebbe essere rivelata a una o più parti nel primo arbitrato, la rivelazione può essere fatta solo se le parti del secondo arbitrato danno il loro consenso. Se il consenso non venisse dato, l’arbitro dovrebbe rifiutare la seconda nomina.

Questo approccio sembra bilanciare gli interessi concorrenti delle parti: la divulgazione di nomine multiple è importante per evitare una potenziale “ineguaglianza di armi e asimmetria materiale di informazioni”, ma secondo la Corte le categorie di eccezioni alla privacy e alla riservatezza devono essere limitate a ciò che è necessario nell’interesse della giustizia.

La decisione della Corte.

Pur applicando questi principi, la Corte ha respinto il ricorso promosso da Halliburton rilevando che la questione rilevante per la rimozione di Mr. Rokison fosse se un osservatore equo e informato alla data dell’udienza per la rimozione nel gennaio 2017 avrebbe concluso che c’era una reale possibilità di pregiudizio da parte dell’arbitro: a parere della Corte, la risposta sarebbe stata negativa.

Sebbene la Corte Suprema abbia ritenuto che, una volta nominato come presidente nell’arbitrato tra Halliburton e Chubb, Mr. Rokison era soggetto al dovere di correttezza e imparzialità ai sensi dell’articolo 33 dell’Arbitration Act e dunque aveva l’obbligo di rivelare le sue successive nomine a Halliburton, ha però concluso che alla data dell’udienza per la rimozione quale arbitro un osservatore informato ed equo non avrebbe concluso che esistevano circostanze che davano origine a dubbi giustificabili sull’imparzialità di Rokison in quanto questi aveva dato una spiegazione della sua mancata divulgazione degli altri procedimenti e questa spiegazione non è stata contestata da Halliburton.

Un osservatore obiettivo non avrebbe quindi dedotto che ci fosse una reale possibilità di pregiudizio in quanto: (I) c’era una mancanza di chiarezza nel diritto inglese per quanto riguarda l’esistenza di un obbligo giuridico di divulgazione; (II) il fatto che la Seconda e la Terza Nomina fossero successive alla nomina di Mr. Rokison nell’arbitrato Halliburton forniva una spiegazione del perché l’arbitro non avesse ritenuto necessaria la divulgazione; (III) non era probabile che ci fosse una sovrapposizione di prove o di argomenti tra i diversi arbitrati, quindi non c’era alcuna probabilità che Chubb ottenesse qualche vantaggio a causa della sovrapposizione dei procedimenti; (IV) Mr. Rokison non aveva ricevuto alcun vantaggio finanziario segreto a causa delle nomine; (V) non c’era alcuna base per dedurre una cattiva volontà inconscia da parte di Mr. Rokison e la sua risposta misurata alle eccezioni sollevate di Halliburton aveva rivelato che era probabile che gli altri giudizi arbitrali sarebbero stati risolti in via preliminare. Qui la Corte fissa alcuni indizi di esclusione dell’apparent bias che saranno preziosi nella valutazione dei casi concreti che si presenteranno certamente più numerosi dopo questa decisione.

Per tali motivi, la Corte Suprema ha respinto il ricorso e ha ritenuto che non ci fosse una reale possibilità di pregiudizio.

Commento.

La decisione della Corte Suprema appare di assoluto rilievo considerato il gran numero di arbitrati internazionali che identificano la sede del tribunale arbitrale in Inghilterra ed aiuta a precisare la portata dell’obbligo di divulgazione degli arbitri, e dunque l’importanza della divulgazione tempestiva, sia in generale e sia nella situazione di nomine multiple in arbitrati derivanti da fatti o argomenti uguali o sovrapposti, fornendo una utile guida su come potrebbe essere valutata una contestazione di apparente parzialità in futuro.

Significativamente, la Corte ha affrontato il rapporto tra il dovere di divulgazione e il dovere di riservatezza, che, come riconosciuto, non era del tutto chiaro in diritto inglese e, in generale, ha chiarito che il dovere di divulgazione deve coordinarsi con l’obbligo al rispetto della privacy e della riservatezza: pertanto, la divulgazione può essere fatta solo se le parti danno il loro consenso.

Basandosi su osservazioni di associazioni arbitrali specializzate che hanno descritto la pratica delle nomine multiple e notato che essa differisce nelle diverse esperienze (ad es. l’ICC ha regole molto più severe e restrittive sulle nomine multiple), la Corte Suprema ha esplicitamente riconosciuto il fatto che nomine multiple, spesso derivanti dagli stessi eventi, sono una pratica comune in alcuni settori in quanto gli arbitrati sono condotti da un numero limitato di arbitri specializzati, rilevando che gli operatori del settore sono ben consapevoli della possibilità di sovrapposizione delle nomine e di solito non si aspettano che tali nomine siano rese note.

Nella sua decisione la Corte Suprema ha fatto altresì riferimento alle linee guida dell’International Bar Association sui conflitti di interesse nell’arbitrato internazionale (le “Linee Guida IBA”) che stabiliscono un sistema ‘a semaforo’ di liste (verdi, arancioni e rosse) di situazioni che possono dare adito a dubbi sull’imparzialità e l’indipendenza di un arbitro: esse sono infatti considerate dalla Corte come uno strumento in grado di aiutare il tribunale a identificare ciò che è un conflitto di interessi inaccettabile e quali questioni possono richiedere la divulgazione, pur se di per sé non danno origine a obblighi giuridici né prevalgono sul diritto nazionale o sulle regole arbitrali scelte dalle parti.

A tale proposito, la Corte ricorda l’articolo 3.1.3 delle Linee Guida IBA, che inserisce nella c.d. Orange List (un elenco, avente natura meramente esemplificativa, di situazioni particolari che, in relazione al fatto specifico, possono far sorgere nelle parti del procedimento dubbi sulla imparzialità o indipendenza dell’arbitro, e che pertanto l’arbitro è tenuto a divulgare alle parti) la situazione dell’arbitro che negli ultimi tre anni, sia stato nominato in due o più occasioni arbitro da una delle parti o da una sua consociata; tuttavia, precisa che in base alla nota 5 della stessa disposizione “[i]n alcuni tipi di arbitrato, come quello marittimo, sportivo o delle materie prime, può esservi la prassi di scegliere gli arbitri in un gruppo più ristretto di soggetti. Se in tali campi è consuetudine e prassi che le parti nominino frequentemente lo stesso arbitro in procedimenti diversi, la divulgazione di questo fatto non è richiesta, laddove tutte le parti dell’arbitrato dovrebbero essere a conoscenza di tale consuetudine e prassi”.

Pertanto, vista la caratteristica di alcuni tipi di arbitrato estremamente specializzato (ad es. GAFTA, LMAA) in cui gli arbitri agiscono spesso con incarichi multipli e in giudizi derivanti dagli stessi eventi, si presume che le parti accettino questa prassi e che quindi il coinvolgimento dei detti arbitri non metta in discussione la loro equità o imparzialità anche in assenza di divulgazione.

Tuttavia, più in generale, la decisione della Corte Suprema potrebbe, in ogni caso, comportare un aumento dei casi di ricusazione di arbitri in caso di omessa disclosure, ora sancita come vero e proprio dovere legale ai sensi della legge inglese, omissione che verrebbe quindi considerata come espressione di apparent bias e dunque comportare la rimozione dell’arbitro stesso, ma pur sempre soggetta al test dell’“osservatore informato ed equo”.

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