ll 24 aprile 2025, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha adottato un Executive Order relativo sia alla conferma delle misure restrittive adottate dagli Stati Uniti nei confronti del Venezuela, sia alla potenziale introduzione di nuovi dazi che sembrano avere assunto alcune similitudini con le c.d. “secondary sanctions” statunitensi.
I. Sanzioni USA contro il Venezuela
Dopo il fallimento dei tentativi dell’amministrazione Biden di negoziare un allentamento delle sanzioni USA contro il Venezuela a fronte della promessa della tenuta di “libere elezioni” nel Paese sudamericano nel contesto dei c.d. impegni di Barbados (di cui avevamo parlato in questo post), l’amministrazione Trump ha deciso di continuare a mantenere una forte pressione sull’economia venezuelana, anzitutto attraverso lo strumento delle sanzioni economiche internazionali.
In particolare, come chiarito anche nel press release della Casa Bianca del 24 aprile 2025, l’amministrazione Trump ha assunto la posizione secondo cui il regime di Maduro in Venezuela continua a rappresentare una “unusual and extraordinary threat to the national security and foreign policy of the United States” soprattutto in quanto la fuga dei cittadini venezuelani e i conseguenti flussi migratori starebbero “destabilizzando l’Emisfero Occidentale” e, allo stesso tempo, il regime di Maduro avrebbe facilitato l’ingresso negli USA della “gang Tren de Aragua” (designata come “Foreign Terrorist Organisation”) in quanto avrebbe permesso a tale organizzazione criminale di “fiorire in Venezuela” e avrebbe poi fallito nel assicurare che la stessa non fuoriuscisse dai confini del Paese.
Per rispondere a tale situazione, ai sensi del succitato Executive Order, il Presidente degli Stati Uniti ha confermato che “rimangono in vigore” tutte le sanzioni USA contro il Venezuela, incluse anche le misure c.d. “settoriali” ai sensi dell’Executive Order 13850 che comportano un rischio sanzionatorio per coloro che operano nei settori dell’oro, del petrolio, della difesa e della sicurezza e del settore finanziario venezuelani.
II. Nuovi dazi “secondari”
Il succitato press release della Casa Bianca, poi, precisa che il Presidente Trump intende usare “America’s economic might” per salvaguardare gli interessi statunitensi e “punire” il regime di Maduro, anche attraverso lo strumento dei dazi soprattutto con riferimento all’esportazione di petrolio dal Venezuela, una delle principali voci del prodotto interno lordo del Paese latinoamericano. Tuttavia, il governo statunitense non è intervenuto al fine di introdurre dazi sul petrolio venezuelano importato negli USA (che pure, ai sensi del più recente report della US Energy Information Administration, EIA, nel 2023 hanno importato il 23% del petrolio esportato globalmente dal Venezuela), quanto al fine di persuadere altri Paesi a non importare più petrolio dal Venezuela.
Sulla base dei poteri concessi al Presidente degli USA ai sensi dell’International Emergency Economic Powers Act (50 U.S.C. 1701 et seq.) (“IEEPA”) e della Sezione 301, Titolo 3 dello United States Code, nonché alla luce dell’emergenza nazionale dichiarata rispetto al Venezuela nell’Executive Order 13692, il governo statunitense si è quindi attribuito, a partire dal 2 aprile 2025, il potere di imporre dazi al 25% su tutti i prodotti importati negli USA da Paesi che importano, direttamente o indirettamente, petrolio venezuelano. Tali dazi, tra l’altro, si applicheranno in aggiunta rispetto ad altri eventuali dazi già imposti rispetto all’importazione di determinati prodotti dai Paesi eventualmente interessati.
Si tratta pertanto di un utilizzo dei dazi finalizzato non tanto a politiche protezionistiche o di c.d. “reshoring”, bensì quale “arma” aggiuntiva per rendere più efficaci le misure restrittive nei confronti di un determinato Paese.
In particolare, il funzionamento di questi dazi ricorda, mutatis mutandis, quello delle c.d. “secondary sanctions” statunitensi: in applicazione di queste ultime, infatti, un’entità o una persona non soggette alla giurisdizione statunitense corrono un rischio sanzionatorio (i.e., il rischio de jure di vedere bloccati tutti i propri asset negli USA e quello de facto di vedersi esclusi dalle relazioni con i principali circuiti commerciali e finanziari mondiali) per un’operazione realizzata in un Paese terzo rispetto agli USA; con i nuovi dazi in esame, similmente, un’entità di un Paese terzo rischia di perdere quote di mercato negli Stati Uniti in ragione di un acquisto “malvoluto” da Washington effettuato, tra l’altro, anche da altre entità stabilite nel medesimo Paese terzo rispetto agli USA, senza che quest’acquisto ricada sotto la giurisdizione statunitense.
Benché questo divieto sembri diretto a colpire soprattutto la Cina, non è da escludersi che i dazi vengano applicati anche ad altri Paesi.
Se infatti, da una parte, la Cina è l’unico Paese espressamente menzionato nel succitato Executive Order, ove si precisa che, se fossero adottati dazi contro la Cina, si applicherebbero anche rispetto a Hong Kong e Macau per evitare flussi elusivi, nonché il principale acquirente di petrolio venezuelano al mondo (68% del petrolio venezuelano è acquistato, direttamente o indirettamente, dalla Cina), anche altri Paesi, secondo il report dell’EIA, hanno importato o importano grandi quantità di tale petrolio, come la Spagna (9% del totale) o Cuba (4%).
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