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Un modo diverso per recuperare i crediti dalle pubbliche amministrazioni

Studio Legale Padovan

Un modo diverso per recuperare i crediti dalle pubbliche amministrazioni, più efficace e veloce: il giudizio di ottemperanza dinanzi al Giudice Amministrativo.

In diversi casi, per recuperare crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione, lo strumento del giudizio di ottemperanza dinanzi al TAR si è rivelato più veloce e decisivo delle ordinarie procedure esperibili dinanzi al giudice civile, anche perché, in questo caso, il Giudice decide con sentenza in forma semplificata (art. 114, c. 3 del codice del processo amministrativo, D. Lgs. n. 104/2010 e ss. mm., d’ora innanzi c.p.a.).

Come è noto, l’art. 112 c.p.a. riconosce il diritto di ricorrere contro la pubblica amministrazione per l’adempimento dell’obbligo di quest’ultima di conformarsi al giudicato dell’autorità giudiziaria ordinaria in caso di inerzia, rifiuto o silenzio dell’amministrazione soccombente.

Condizione necessaria per l’esercizio dell’azione è la certezza della pronuncia. Certezza garantita dal passaggio in giudicato formale della decisione ai sensi dell’art. 324 c.p.c., che va attestato mediante la produzione in atti di idonea documentazione.

Da notare che l’art. 112, comma 2, lett. c) del codice del processo amministrativo consente la possibilità di ricorrere al giudizio di ottemperanza non solo per le sentenze passate in giudicato, ma anche per gli altri provvedimenti ad esse equiparati e, perciò, anche per i decreti ingiuntivi (nonché per i lodi arbitrali esecutivi, in quanto divenuti inoppugnabili), se non opposti entro il termine decadenziale di quaranta giorni ex art. 641, c. 1, c.p.c. In questo caso – va precisato – condizione essenziale perché il ricorso per l’ottemperanza possa essere proposto anche per l’esecuzione del decreto ingiuntivo non opposto è che sia stato dichiarato esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c. (così, di recente, TAR Basilicata, sez. I, 15/04/2024, n. 189; TAR Campania Napoli, sez. VI, 4/04/2024, n. 2208).

Il giudizio di ottemperanza verte essenzialmente sull’esecuzione di una pronuncia giurisdizionale. Il codice del processo amministrativo ha aggiunto, però, alcuni contenuti ulteriori. Così, col ricorso per l’ottemperanza possono essere richiesti anche gli interessi maturati successivamente alla sentenza non eseguita (e, se dovuta, anche la rivalutazione monetaria). Inoltre, possono essere proposte le domande risarcitorie per i danni derivanti dalla mancata esecuzione, violazione o elusione del giudicato, ovvero quando l’esecuzione di quest’ultimo sia impossibile o eccessivamente onerosa (v. Relazione al Codice del processo amministrativo, pag. 51). Viene in rilievo, in particolare, l’art. 112 c. 3 c.p.a. in base al quale può essere proposta, anche in unico grado dinanzi al giudice dell’ottemperanza, azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonché azione di risarcimento dei danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione. Secondo quanto precisato in giurisprudenza, la “causa petendi della domanda risarcitoria proponibile in sede di ottemperanza deve essere individuata nell’impossibilità oggettiva di esecuzione del giudicato, nella sua mancata esecuzione in forma specifica, apprezzabile anche solo parzialmente, ovvero nella condotta violativa o elusiva delle prescrizioni impartite con il titolo giudiziale passato in giudicato” (Cons. Stato, sez., VI, sent. 28/12/2020, n. 8368).

A sua volta l’art. 134, c. 1, lett. a) dello stesso codice del processo amministrativo, statuisce che il giudice amministrativo esercita giurisdizione con cognizione estesa al merito nelle controversie aventi, tra le altre, ad oggetto l’attuazione delle pronunce giurisdizionali esecutive. Differenza essenziale rispetto alle procedure esperibili dinanzi all’A.G.O. è proprio questa, nel senso che la previsione della giurisdizione di merito comporta che il giudice amministrativo possa sostituirsi all’amministrazione inadempiente o ordinando direttamente l’ottemperanza e prescrivendo le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l’emanazione dello stesso in luogo dell’amministrazione (art. 114, c. 4, lett. a) del c.p.a.), oppure nominando un commissario ad acta che dia esecuzione alla sentenza (art. 114, c. 4, lett. c) del c.p.a.).

E, nel giudizio di ottemperanza, non è possibile opporre al giudice alcuna riserva di potere dell’amministrazione. Questo significa che non è possibile nemmeno opporre uno spazio di adempimento per approntare i mezzi finanziari occorrenti al pagamento e per evitare il paventato blocco dell’attività amministrativa. La necessità di dare esecuzione alla sentenza prevale anche su ogni possibilità di salvaguardia delle prerogative dell’amministrazione.

Normalmente avviene che, quando il giudice accoglie il ricorso, adotta anche misure ordinatorie nei confronti dell’amministrazionedirette all’esecuzione, come la fissazione dei termini per provvedere, la precisazione delle modalità esecutive, etc. Lo stesso giudice, in caso di permanenza dell’inadempienza da parte dell’amministrazione oltre il termine assegnatole per provvedere, può prevedere la nomina di un commissario ad acta a cui affida il compito di provvedere in luogo dell’amministrazione.

Questo significa, per tornare al tema che ci interessa più da vicino, che viene identificato un soggetto cui è affidato il compito specifico di rinvenire (andare a ricercare) le somme dovute per assegnarle al creditore.

Questo profilo è quello che si intende qui particolarmente sottolineare, giacché è noto come, per effetto della vigente normativa sia, invece, assai difficoltoso soddisfare i crediti vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni, e ciò per effetto delle norme dettate a tutela della Pubblica Amministrazione in generale, che rendono impignorabili beni immobili o beni mobili destinati a pubblici servizi o all’attuazione di una funzione istituzionale per disposizione di legge o di un provvedimento amministrativo, a cui si è aggiunto un tessuto stratificato di norme che hanno reso ulteriormente difficoltoso il soddisfacimento dei crediti dei privati attraverso le azioni esecutive ordinarie.

Tenuto conto di ciò e dell’inerzia che, sovente, caratterizza il comportamento del debitore, il giudizio di ottemperanza può rappresentare per il creditore uno strumento privilegiato per il soddisfacimento delle proprie pretese.

Ovviamente è necessario prestare attenzione ad una serie di passaggi ineludibili:

– l’azione si propone, anche senza previa diffida, con ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta (art. 114, c. 1 del c.p.a.);

– l’azione si prescrive con il decorso di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza (art. 114, c. 1 del c.p.a.);

bisogna essere certi e documentare, mediante idonee produzioni (ossia mediante copie autentiche, con attestazione del passaggio in giudicato ad opera delle competenti segreterie), il passaggio in giudicato o l’inopponibilità delle sentenze o atti equiparati dei quali si chiede l’esecuzione;

– nelle conclusioni del ricorso, oltre a formulare tutte le richieste più opportune relativamente al pagamento delle somme dovute e dei relativi interessi, è necessario che sia chiesto al giudice, nell’ambito delle misure ordinatorie dirette all’esecuzione ex art. 114, c. 4, lett. a), di fissare un termine perentorio all’amministrazione inadempiente (che è bene indicare espressamente a livello di richiesta) per effettuare il pagamento delle somme dovute;

– un’accortezza è quella di chiedere ed insistere (garbatamente) anche eventualmente in udienza perché il Giudice indichi direttamente in sentenza il nominativo del Commissario ad acta, fissi un termine anche a quest’ultimo per adempiere, eventualmente relazionando al Giudice, specialmente  nel caso di mancato adempimento;

–  salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, l’art. 114, c. 4 lett. e), consente alla parte, con apposita istanza, di chiedere che sia fissata una somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato. Per esperienza, si tratta, però, di una richiesta che conviene formulare per completezza, ma che i Giudici non sono generalmente propensi ad accogliere.

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