Con la sentenza emessa in data 17 settembre 2020 ad esito della causa C-732/18 P, la Corte di Giustizia ha confermato la sentenza del Tribunale che, a sua volta, aveva respinto il ricorso proposto da alcune società petrolifere russe afferenti al gruppo Rosneft contro le misure restrittive imposte dal Consiglio in relazione alla crisi ucraina.
A partire dal luglio 2014 il Consiglio ha, infatti, adottato una serie di misure in risposta all’annessione della Crimea da parte della Federazione russa nonché alle sue politiche di destabilizzazione dell’Ucraina, sanzioni che hanno colpito, tra l’altro, il settore petrolifero limitando l’accesso e vietando la fornitura e l’esportazione di determinati servizi e tecnologie sensibili utilizzabili per la produzione e la prospezione del petrolio, nonché ponendo restrizioni all’accesso al mercato dei capitali dell’UE nei confronti di alcuni operatori russi operanti in tale settore energetico.
Nell’ottica dell’Unione, lo scopo di tali misure è quello di aumentare il costo delle azioni intraprese da Mosca per compromettere l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina, nonché promuovere una soluzione pacifica della crisi.
Nel 2018, alcune società petrolifere russe facenti capo al gruppo energetico Rosneft avevano proposto ricorso innanzi al Tribunale ritenendo che tali sanzioni non fossero sufficientemente motivate e fossero state comunque adottate in violazione della rilevante normativa dell’Unione e delle sue obbligazioni internazionali, chiedendo dunque l’annullamento delle stesse.
Con sentenza del 13 settembre 2018 (T-715/14 Rosneft Oil Company e al. c/ Consiglio), il Tribunale aveva però respinto il ricorso, rilevando che il Consiglio avesse sufficientemente motivato le misure impugnate nonché che il loro fine fosse in linea con il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, obiettivo espresso dell’azione esterna dell’Unione Europea.
Inoltre, il Tribunale aveva ribadito la compatibilità delle predette misure restrittive rispetto all’accordo di partenariato Russia-UE (questione già risolta dalla stessa Corte nella precedente sentenza Rosneft del 2017 (C-72/15)) in quanto strumentali alla tutela degli interessi fondamentali della sicurezza dell’Unione, rigettando altresì le eccezioni relative alla violazione dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità, constatando che il Consiglio aveva legittimamente deciso di individuare imprese o settori produttivi russi che dipendono da tecnologie o competenze disponibili prevalentemente nell’Unione al fine di garantire l’efficacia delle misure restrittive adottate ed evitare che il loro obiettivo fosse vanificato. Il Tribunale aveva, infine, affermato che il rapporto tra la portata delle misure sanzionatorie e l’obiettivo perseguito fosse ragionevole e non sproporzionato.
Avverso tale decisione, le società petrolifere russe hanno proposto impugnazione innanzi alla Corte di Giustizia la quale, con la recente sentenza del 17 settembre 2020, ha rigettato integralmente il gravame e confermato le misure restrittive adottate dal Consiglio.
La Corte ha preliminarmente confermato come dette misure costituiscano provvedimenti di portata generale (sebbene, in virtù del settore concretamente individuato, colpiscano un numero limitato di soggetti) e dunque, come già affermato dal Tribunale, il Consiglio abbia correttamente esposto alla base delle stesse la situazione generale che ha indotto alla loro adozione nonché gli obiettivi generali che esse si prefiggevano, senza alcuna necessità di motivazione specifica e dettagliata.
Inoltre, considerato che Rosneft è uno dei principali gruppi energetici russi, controllato tra l’altro dallo Stato russo che ne detiene la maggioranza delle azioni, le società afferenti al gruppo non potevano ragionevolmente ignorare le ragioni per le quali le sanzioni erano state imposte dall’Unione.
Nella sentenza in commento, la Corte è netta nel confermare come lo scopo delle misure adottate dal Consiglio – ovvero quello di aumentare i costi delle azioni della Federazione russa nella sua minaccia all’integrità territoriale, alla sovranità e all’indipendenza dell’Ucraina nonché di promuovere la soluzione pacifica della crisi – rientri a pieno negli scopi dell’azione esterna dell’Unione ai sensi dell’Articolo 21 TUE.
Al contempo, la scelta dei settori e delle misure da adottare ricade nell’ampia discrezionalità del Consiglio in un settore che richiede scelte di natura politica, economica e sociale in cui esso è chiamato ad effettuare valutazioni complesse: la Corte ha quindi concluso che la legittimità di un provvedimento adottato in tale ambito può essere pregiudicata solo se il provvedimento è manifestamente inadeguato rispetto all’obiettivo che l’istituzione competente intende perseguire mentre l’imposizione di restrizioni alle esportazioni in un settore significativo dell’economia russa, come quello petrolifero, contribuisce chiaramente al raggiungimento dell’obiettivo prefissato. Tale misura non era quindi manifestamente inadeguata rispetto all’obiettivo che l’istituzione competente intendeva perseguire.
Inoltre, secondo la Corte, l’importanza degli obiettivi di tali provvedimenti giustifica le conseguenze, anche notevolmente negative, nei confronti altresì di soggetti che non hanno alcuna responsabilità diretta rispetto alla causa che ha condotto all’implementazione di tali sanzioni: di conseguenza, data la rilevanza degli interessi in gioco, l’ingerenza nella libertà di impresa e del diritto di proprietà di soggetti colpiti non può ritenersi sproporzionata.
Infine, tali misure risultano compatibili sia con l’accordo di partenariato Russia-EU che con il GATT in quanto entrambi tali strumenti prevedono disposizioni in materia di “Security Exceptions” che ne consentono l’adozione: le stesse, infatti, sono considerate dalla Corte come strumentali alla protezione degli interessi essenziali di sicurezza dell’Unione Europea di tal che, alla luce dell’ampia discrezionalità di cui il Consiglio gode in questo campo, esso aveva il diritto di considerare le azioni della Russia in relazione alla crisi ucraina come una “emergenza nelle relazioni internazionali” e che le misure restrittive adottate erano necessarie per la protezione di detti interessi essenziali degli Stati Membri e dell’Unione, nonché per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
Con detta sentenza, la Corte di Giustizia ha, dunque confermato – con ampia e convincente argomentazione – la correttezza giuridica delle sanzioni adottate del Consiglio nei confronti di alcuni operatori energetici russi in relazione alla crisi ucraina.